Home » Interviste » “C’è una macchia sul mio disegno” – Marianna Balducci autrice
Marianna Balducci è una fantastica illustratrice, ma è anche un’autrice e ha scritto di recente un libro che amo molto, “C’è una macchia sul mio disegno” (ELI La Spiga).
Questo testo parla di Max, un piccolo aspirante artista che cerca di creare un capolavoro, ma nel suo disegno si forma una macchia. Max cerca in ogni modo di eliminarla o coprirla, ma la macchia sembra prendere vita propria e a un certo punto diventa forse la vera protagonista del libro.
Mi è molto caro il tema dell’errore, perché credo fortemente che possa essere una fonte di crescita, se affrontato nel giusto modo. Nel libro di Marianna c’è anche qualcosa in più, c’è una macchia che sembra un errore e invece alla fine si rivela… non ve lo dico, dovete scoprirlo leggendo il libro!
Ho chiesto dunque a Marianna che cosa pensa dell’errore: • Il protagonista nascosto (ma neanche tanto) della storia è forse la macchia stessa, che prende vita propria e porta a un finale a sorpresa. Che rapporto hai con l’errore, come artista?
Marianna: Ci ho messo del tempo a fare pace con gli errori (e l’allenamento continua sempre). Non sono mai stata precisa, ma ci ho sempre tenuto a fare le cose per bene, come ritenevo fosse giusto farle (fosse anche solo nella mia testa). A prendere dimestichezza con gli errori e a trattarli col dovuto distacco mi ha insegnato mia mamma che è pittrice e mi ha sempre circondata di colori e tele come fossero giochi a cui approcciarmi liberamente. È stata lei la prima a sdrammatizzare e a dirmi che non dovevo avere paura di sbagliare: “Se hai paura di rovinarlo (quel disegno), lo rovini di sicuro!” diceva. Così ho iniziato a guardare agli sbagli più come a imprevisti e agli imprevisti più come a possibilità. Più tardi, tra le mie letture del cuore, avrei trovato conferma nelle parole di Rodari che diceva che sbagliando, più che si impara, si inventa.
Ho fatto a Marianna un’altra domanda perché ero curiosa di sapere se nel piccolo Max c’è un po’ di Marianna Balducci: • C’è qualcosa di autobiografico in “C’è una macchia nel mio disegno”, visto che parla proprio di un artista in erba?
Marianna: Come hai visto, sì, c’è tantissimo. Ci sono dentro ombre di piccole grandi frustrazioni vissute da bambina, nella tensione continua di soddisfare aspettative che spesso erano solo nella mia testa. Lo humor mi è sempre venuto in soccorso e, anche in questo caso, sono contenta sia diventato l’espediente per raccontare quella che, in fondo, è un’esperienza che abbiamo in qualche modo vissuto tutti. Quando porto in giro il libro, una delle prime cose che chiedo ai bambini è proprio se si sono mai sentiti come Max, arrabbiati, confusi e impotenti davanti alla macchia che ha rovinato i loro piani. E naturalmente mi rivelo anche io, ancora tutto sommato ogni tanto fragile davanti a ciò che non so controllare. Per fortuna tutto si rivela poi una bellissima avventura di cui ridere e fare tesoro.
Non è stato facile. Io vengo dalla pubblicità dove si fa gran uso del foto-illustrato, nella pubblicità ci sono le fotografie e poi tutto quello che le arricchisce è un plus. Nel mondo degli albi illustrati, invece, è qualcosa che si vede ancora poco, perciò quando mi presentavo agli editori con il mio portfolio, tutti lo apprezzavano, ma sembravano non trovare mai il posto giusto per le mie proposte nelle loro collane. Il foto-illustrato sembrava sempre una scommessa troppo azzardata, troppo originale per poterci veramente investire.
Poi, finalmente, Bacchilega ha creduto in me con “Il viaggio di piedino”. Il progetto del libro c’era già a livello di testo (scritto da Elisa Mazzoli). Grazie ad Angela Catrani, editor Bacchilega Junior, sono stata coinvolta per illustrarlo con la specifica richiesta di proporne lo sviluppo visivo in forma foto-illustrata. Da lì in poi, c’è stata assoluta fiducia nel mio modo di trattare lo storyboard e abbiamo lavorato benissimo. Fabio Gervasoni è il fotografo che si è occupato degli scatti e con cui ormai ho una consolidata esperienza di esperimenti foto-disegnati
Un grande aiuto per me sono stati proprio i corsi di Davide Calì, perché mi hanno aperto la mente. Da lì ho preso il volo.
Marianna: Lavorare contaminando diversi registri visivi è una cosa che è venuta sviluppandosi in modo naturale dopo i miei studi universitari in moda. Ho studiato quello che sono convinta sia uno dei linguaggi più creativi ed eclettici che ci siano: nella moda ci sono gli abiti, certo, ma prima ancora c’è molta ricerca, innovazione (anche tecnologica), capacità di trovare soluzioni anche in contesti lontanissimi tra loro, arte contemporanea, fotografia, artigianato.
Questo tipo di approccio ha plasmato il mio modo di progettare le immagini (sia che si tratti di un singolo poster per una campagna, sia che si tratti di uno storyboard). Giocare con la fotografia, nello specifico, è una sorta di piccola sfida allo sguardo. Mi piace scegliere oggetti o porzioni di realtà apparentemente banali, quotidiane, quelle che ci sembrano non avere più segreti perché le abbiamo potenzialmente sempre sotto gli occhi. Il disegno diventa il modo di illuminarle nuovamente, a volte addirittura ribaltarne la funzione, far capire che le cose possono essere diverse se cambiamo prospettiva.
Ho scoperto illustri riferimenti in anni più recenti e mi sono appassionata tantissimo ai lavori di Gilbert Legrand o Christoph Niemann, ma i miei riferimenti vanno aldilà dell’illustrazione. Per esempio, in questo caso, sicuramente i testi di Bruno Munari sono stati preziosissimi.