Ancora Bologna – 1° parte

Salì in carrozza con un salto e le portiere si chiusero alle  sue spalle con uno sbuffo. Era entrata appena in tempo.

Norma si guardò attorno per cercare un posto libero. Ne vide uno vicino al finestrino e andò a posizionarsi. Era stata fortunata, sembrava fosse l’unico vuoto in tutto il vagone. Sollevò la valigia e la spinse a fatica nel ripiano in alto, poi si lasciò cadere sul sedile. Il cuore le batteva forte per la corsa. Perché mai devo ridurmi sempre all’ultimo minuto?, pensò. Ma era una domanda che si poneva ogni qualvolta salisse su un treno e che rimaneva senza risposta. Era fatta così, sempre di corsa.

Norma sospirò, si aggiustò in modo approssimativo la coda di cavallo, cercando di domare i capelli ribelli che erano sfuggiti all’elastico, poi si guardò attorno. Un uomo dai capelli scuri e il viso nascosto da un giornale di fronte a lei, una signora con la pelle ambrata e i vestiti coloratissimi con un bambino che si contorceva per la noia negli altri due sedili, questi i suoi compagni di viaggio. Norma sorrise alla donna, poi aprì la borsa piena di oggetti infilati alla rinfusa e ne estrasse un libro. Amava leggere in treno, soprattutto i gialli, e ficcò il naso tra le pagine, curiosa di sapere che fine avrebbe fatto il protagonista che, al momento, non se la passava benissimo.

«Leggi ancora i gialli!»

Norma conosceva quella voce. Alzò gli occhi dal libro. Corrado. L’uomo di fronte a lei era Corrado che la guardava con aria canzonatoria.

«E tu leggi ancora i giornali.» disse Norma.

Si chiese come avesse fatto a non riconoscerlo, nonostante il giornale. Era identico, con qualche filo bianco in più tra i capelli scurissimi.

«Leggo il giornale ogni giorno.»

Norma lo sapeva bene, così come conosceva a memoria molte delle sue abitudini. Quanto tempo era passato? Dieci anni? Di più? 

«Come stai Norma? Saranno passati quindici anni.»

Ecco, quindici anni, lui era sempre stato bravo a misurare il tempo, a contare. Lei no. 

«Già…»

E le passò davanti, come la sequenza di un film, il loro ultimo giorno insieme. Le vie di Bologna, Piazza Maggiore, la chiesa di Santo Stefano, il profumo della carta invecchiata di quella piccola libreria, la pioggia, le risate sotto i portici e poi tutte le parole che si erano detti. Sì, se ne erano dette proprio tante, un fiume, un torrente scrosciante, una cascata.

Ma Norma non aveva mai detto le uniche che sentiva rimbombare nella pancia ogni volta che lo guardava. Ti amo. Due parole, cinque lettere, le più difficili, che erano rimaste prigioniere della sua bocca.

Nemmeno Corrado le aveva mai pronunciate. Chissà se le aveva provate.

Norma lo guardò e sentì un fremito conosciuto. Dopo tanto tempo.

«Ti trovo in gran forma.» disse Corrado.

«Anche tu sei in forma.» replicò Norma.

Si sorrisero e poi rimasero in silenzio, a fissarsi. Norma non riusciva a deglutire. Corrado sembrava malinconico e le sfiorò la mano.

La voce registrata di trenitalia irruppe nel loro silenzio denso e in quel momento annunciò la stazione di Bologna. Ancora Bologna.

«Io scendo qui.» disse Corrado, trasalendo e iniziando a raccogliere le sue cose. Una giacca beige perfettamente stirata nonostante il viaggio, una ventiquattr’ore di pelle. 

«Io proseguo fino a Milano, vivo lì adesso.» disse Norma.

«Che cosa fai?» chiese lui.

«Lavoro in un ufficio di comunicazione come designer. E tu?» rispose lei.

«Sono diventato un professore di matematica.»

Certo, non poteva che essere così.

«Senti, il mio numero è sempre lo stesso, se capiti a Bologna fammi uno squillo che ci vediamo.» proseguì lui.

«Certo, volentieri!» disse lei.

Corrado la salutò con l’unica mano libera, su cui brillava la fede. Norma rispose al saluto con un sorriso. Un ultimo sguardo e poi Corrado si diresse verso l’uscita.

Norma infilò di nuovo il naso tra le pagine del libro, ma questa volta per nascondere le lacrime.

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