ANCORA BOLOGNA – Parte 3°

Norma arrivò nel suo appartamento, gettò la valigia in un angolo, la borsa su una sedia e poi si tolse le scarpe e si sdraiò sul morbido divano di stoffa blu. Aveva voglia di un caffè, ma il pensiero di alzarsi e armeggiare con la caffettiera la fece rinunciare. Prese uno dei cuscini, lo sistemò sotto il capo, per stare più comoda, e chiuse gli occhi.

Quante potevano essere le probabilità di trovare Corrado seduto proprio di fronte a lei, su un treno? Una su un milione? Anche meno forse. La vita è più fantasiosa di qualsiasi romanziere, a volte.

Non devo pensarci più. Sono passati quindici anni, lo avevo quasi dimenticato e lo farò di nuovo. È normale che ora stia così, è stato importante per me, ma è finita. Anzi, non è mai iniziata, il che rende il tutto ancora più ridicolo, pensò.

Si sollevò a sedere, facendo cadere il cuscino a terra, lo raccolse e lo lanciò in un angolo del divano; il cuscino cadde di nuovo. «Brutto stronzo di un cuscino, vuoi farmi incazzare?»

Norma si alzò, andò a raccoglierlo di nuovo, gli diede un pugno, poi lo guardò e diede altri due colpi ben assestati, infine scaraventò l’oggetto contro una parete della stanza e si mise a piangere.

Gesù Norma, un po’ di ritegno, forza, riprenditi, non c’è nulla da piangere, si disse, poi andò in bagno, si lavò il viso e si sentì meglio. Prese il cellulare dalla borsa e compose il numero di Filippo.

«Ciao Filo! Sì, sono tornata. Bene, bene. Mia madre sta bene e chi l’ammazza quella? Tu come stai? Che fai stasera? Ah, neanche io. Andiamo a fare un aperitivo al Tongs? Benissimo! Sì, ok, A dopo allora.»

Quando chiuse la telefonata, Norma aveva di nuovo il sorriso. Si guardò intorno: tutto era come l’aveva lasciato, la cucinina di legno chiaro, il tavolo bianco con le sedie, il divano blu, la lampada a stelo d’acciaio, il quadro con la donna di spalle dipinto dal suo amico Antoine, le piante grasse un po’ ovunque.

Era a casa, una casa piccola ma carina, che aveva arredato personalmente, faceva un lavoro che amava e che l’attendeva l’indomani e aveva un appuntamento con Filippo quella sera stessa, ai Navigli. Andava tutto bene, anzi alla grande.

Norma, fischiettando, prese la valigia abbandonata in un angolo e la portò in camera. Prese gli indumenti sporchi e li gettò nel cesto di vimini già strabordante. C’era una maglietta che non aveva usato, durante i giorni trascorsi a casa della madre, la annusò e decise che poteva tornare nella cassettiera, con i vestiti puliti.

Norma scelse cosa mettersi per la serata: un paio di jeans e una camicetta grigio scuro sarebbero andati benissimo. Norma decise di mettere nella borsa anche una maglia più pesante. L’estate era agli sgoccioli e le serate si erano rinfrescate, poteva servire.

Infine prese un asciugamano pulito e andò a farsi una lunga doccia. Un’ora dopo era pronta. Si guardò allo specchio e fu soddisfatta di quel che vide. Era già uscita diverse volte con Filippo che era un uomo simpatico, aveva la battuta sempre pronta e la capacità di alleggerire anche le situazioni più pesanti. Si divertivano un mondo, insieme, e Norma quella sera aveva proprio bisogno di ridere.

Era ancora presto, mancava un’ora all’appuntamento, e così decise di aggiungere qualche particolare al suo abbigliamento semplice, magari un bracciale e un anello, così aprì il cassettino in cui teneva i gingilli, come li chiamava sua madre. Norma amava la bigiotteria e aveva una tonnellata di anelli, collane e braccialetti di ogni foggia e colore. La madre le diceva sempre: «Cosa aspetti a buttarli via, sono gingilli, tutti insieme varranno sì e no dieci euro!», ma Norma non aveva alcuna intenzione di liberarsene, anzi continuava a incrementare la collezione.

Rovistando tra i gioielli, Norma vide sul fondo del cassetto il suo diario, o meglio, i suoi diari. Quando aveva otto anni suo padre gliene aveva regalato uno con l’immagine di una bambola, con tanto di lucchetto, ed ella, affascinata, aveva preso l’abitudine di annotare su di esso quel che le accadeva, quel che la colpiva, pensieri ed emozioni. Non aveva mai perso quell’abitudine. Negli anni successivi aveva continuato ad ammucchiare diari, talvolta erano semplici quaderni, altre volte block notes o addirittura fogli sparsi. Li considerava il suo tesoro più prezioso, i suoi cassetti della memoria.

Norma li prese in mano. Non lo faceva spesso, era così intenta a vivere il presente che raramente si metteva a rovistare nel passato. Le tornarono in mente il volto di Corrado, il suo saluto frettoloso sul treno, la fede. Guardò di nuovo i diari. C’era tutta la loro storia, lì dentro, ricordava bene le notti trascorse a scrivere di lui.

Norma decise di rimettere i diari al loro posto, sotto la montagna di bigiotteria da quattro soldi. Mentre li infilava di nuovo nel cassetto, però, un foglio ribelle scivolò fuori, dondolò nell’aria e poi cadde a terra. Norma si chinò a raccoglierlo e lo guardò. Era una lunga lettera, una delle tante lunghe lettere che a volte scriveva e che non spediva.

Iniziava con “Caro Corrado…”

Qui sotto le puntate precedenti

1° parte --> https://www.valeriaforconi.com/racconti-a-puntate/ancora-bologna-1
2° parte --> https://www.valeriaforconi.com/racconti-a-puntate/ancora-bologna-2

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